Ormai pensiamo che sia inevitabile, con la crescita sempre più rapida delle maggiori città, un declino della popolazione rurale. I grandi centri si espandono così come avevano fatto durante il secolo scorso, offrendo vantaggi economici e sociali che non si trovano altrove. Città come New York hanno già superato anche i limiti dell’efficienza, facendosi via via luoghi in cui diventa sempre meno auspicabile svolgere una attività e soprattutto abitare. Ma la spinta passata alla crescita continuerà per un po’, a New York come in altre città. Però negli ultimi tempi gli svantaggi, i costi sempre più alti, le difficoltà ad operare e a condurre una salubre esistenza, si stanno avvicinando a un punto di rottura, quello in cui la crescita della grande città arriverà ad una fine. Ci si rivolgerà ad altri luoghi per le occasioni di attività, per un abitare migliore. Lo studio condotto condotto sullo Stato di New York dalla Commissione per la Casa e la Pianificazione Regionale, prova ad anticipare questa svolta, individuando nel territorio statale occasioni per una più efficiente distribuzione della popolazione.
Le persone si sono orientate verso i centri maggiori di attività, non tanto per il desiderio di concentrarsi, ma perché lì potevano trovare lavoro e stimoli. Man mano la città cresce, cresce anche l’attrito interno economico e sociale, che lavora contro un accrescimento ulteriore. Si impennano i valori dei terreni sino a diventare la quota maggioritaria del costo di un’abitazione, costo che è proibitivo salvo per le costruzioni multifamiliari. Scompare il giardino privato, nella grande città, aumenta la necessità di spazio ricreativo ma l’elevato valore delle superfici lo rende impossibile, lasciando ai giovanissimi solo il pericolo delle vie, in cui giocare.
Nonostante l’aumento dei redditi, il lavoratore della grande città si ritrova alla fine con minori disponibilità rispetto a quello del centro minore. Anche tutti i problemi legati al trasporto di persone e merci diventano enormi man mano cresce la città. Aumentano sia il numero degli spostamenti che la loro lunghezza. Il lavoratore a New York City non sostiene direttamente questo costo, e le casse pubbliche perdono 12 milioni di dollari l’anno, investiti nelle attuali insufficienti reti sotterranee. La gestione degli scarichi fognari si fa più difficile, e tante spiagge diventano per questo infrequentabili, i bagni impossibili. La disponibilità idrica pone un limite alle possibilità di crescita, e New York City sta già pescando in bacini che appartengono geograficamente ad altre aree dello Stato. Per queste e altre ragioni, rappresenterebbe una follia, di fronte ai chiari segnali di crisi e di rischio di queste tendenze, pensare di continuare a crescere secondo le stesse modalità.
L’unica speranza sta nel provare a osservare la questione da una distanza sufficiente a coglierne la complessità. Di fronte ai problemi di pianificazione statale c’è la possibilità di un approccio innovativo, e al tempo stesso si presenta la possibilità di rendere possibile una efficace programmazione. Non si tratta solo della crisi del modello della grande città, che delinea una diversa idea di territorio statale, ci sono anche altri elementi a consentire un decentramento: l’automobile, la grandissima disponibilità di energia elettrica, forze che si contrappongono in qualche misura al potere centripeto della ferrovia, del vapore, della concentrazione di cultura e arte. Imprese, compagnie ferroviarie, amministrazioni cittadine, lo stesso Stato, spendono ogni giorno grandissime somme in trasformazioni, con pochissima consapevolezza di ciò che sta effettivamente accadendo in termini di crescita a grande scala. Ogni anno si investono 25 milioni di dollari in strade e canali, il programma dei parchi comporta una spesa di 15 milioni. Per sfruttare queste risorse in modo efficace, dobbiamo iniziare a porre le basi di un piano generale.
È con questo spirito che ha lavorato la nostra Commissione per la Casa e la Pianificazione Regionale. Certo i dati raccolti non costituiscono un Piano, ma riteniamo si tratti del primo passo per acquisire materiali in base ai quali valutare le tendenze e possibilità di migliore utilizzo del territorio in futuro, sulla base di un vero e proprio piano. Nella storia dello Stato di New York troviamo riflessi in grandi cambiamenti del Paese, dal periodo di colonizzazione attraverso la graduale espansione industriale, che culmina nei problemi attuai di crescita delle grandi città. Uno sviluppo industriale contrassegnato da due significative e poche, una prima il periodo delle attività nei piccoli centri, dal 1840 al 1880, e la seconda il periodo della grande dimensione, delle imprese e delle città, dal 1880 ai nostri giorni. Nella prima fase abbiamo una grande diversità di piccoli impianti integrati nella produzione agricola, nello sfruttamento dei boschi e via dicendo, con almeno 500 piccoli centri impegnati nel farsi vigorosa sana concorrenza. Nel 1880 l’agricoltura inizia però ad avvertire gli effetti delle produzioni nelle terre fertili nei grandi territori dell’Ovest, e le superfici messe a frutto dentro lo Stato, che avevano raggiunto all’epoca il 50% dell’area totale, iniziano a decrescere fino al 43% di oggi.
Resiste anche se con fatica per un certo periodo il sistema dei centri minori sparpagliati, ma l’industria cambia le condizioni a causa della forza a vapore e del suo uso regolare. Il carbone arriva attraverso le linee ferroviarie principali, e ciò obbliga i produttori a spostarsi in prossimità. Scompare il lavoro agricolo, e i contadini si spostano verso i centri industriali del canale Erie, della Mohawk Valley, e nella regione che fa capo a New York City. Secondo gli studi preliminari condotti dalla nostra Commissione e ben rappresentati nelle tavole e tabelle, si nota come circoscrizione dopo circoscrizione, tutte le zone dal 1850 iniziano a perdere popolazione, finché nel periodo 1910-1920 ce ne sono soltanto tre, di circoscrizioni di contea fuori dalla zona di New York, ancora in crescita, salvo in un paio di casi di città industriali. La popolazione rurale che ancora nel 1880 costituiva la metà dei residenti dello Stato, oggi si è ristretta a meno del 12%, se classifichiamo correttamente come cittadine e non di campagna le aree suburbane e i loro abitanti.
Una trasformazione inevitabile, col prevalere delle forze che caratterizzano la seconda fase industriale. Forza vapore e trasporto ferroviario inducono cambiamenti nazionali, e particolarmente intensi in uno stato di antico insediamento come quello di New York, che partiva da una situazione assai più arretrata e semplice. Nonostante radicate tradizioni, presenza di bellezze naturali, condizioni climatiche straordinarie, tutta la popolazione dello Stato pareva destinata a concentrarsi e affollarsi dentro le città, almeno finché solo quella forza dominava. Oggi però esistono nuovi metodi di trasporto stradale, meno condizionati dall’orografia, modi di produzione e distribuzione energetica, tali da offrire diverse possibilità di rivitalizzazione di antichi nuclei, e realizzazione di nuovi in aree dimenticate o da scoprire. Una tendenza che si può accelerare o rallentare a nostro discrezionale piacere e opportunità. La spinta attuale tende a rallentare il cambiamento, ma man mano si comprendono i pericoli della situazione, e le occasioni future, si può orientare il sistema di energie e azione pubblica verso le risorse naturali e i loro vantaggi.
Le ricerche della nostra Commissione mostrano che l’espansione e poi contrazione delle attività agricole ha concentrato gli insediamenti nelle aree climaticamente più favorevoli e fertili. Si sono impoverite invece le zone meno fertili e disboscate. Una prima ipotesi di sviluppo statale indica una migliore utilizzazione delle aree più favorevoli, sia per scopi agricoli che industriali, a sostegno di nuove cittadine. La crescente quantità di superfici inutilizzate nelle zone settentrionali, tra cui ottime zone a boschi, potrebbero essere usate come risorse idriche, idroelettriche, per il tempo libero, conservazione naturale. Chi abita le città delle valli ha bisogno di qualcosa in più di una strisciolina di verde attorno ai sobborghi giardino, per ricrearsi davvero nello spirito, oppresso dal grande centro industriale.
Il futuro si prospetta in due direzioni. Oggi si rendono possibili tecnicamente e socialmente piccoli centri relativamente isolati. La posizione dominante della grande città si fa via via più insostenibile. In alcuni settori questo predominio viene già controbilanciato da molte diseconomie, e crescendo le dimensioni aumentano i settori interessati. Ho già detto, che pensavamo le persone si trasferissero in città di propria scelta, ma oggi anche volendo non potrebbero andarsene da lì. In alcuni, isolati casi la situazione è anche cambiata: i lavoratori dalla città se ne vanno, che lo desiderino oppure no. Credo che ci troviamo alla fine del processo di concentrazione, quello a cui si assiste a New York e dintorni, e all’inizio di un decentramento su un’area molto più vasta. Un periodo che ci chiede una riflessione di ampio respiro di piano, statale e nazionale.
Da: AA.VV. Planning problems of town, city and region, papers and discussions at the International City and Regional Planning Conference, New York 1925, Norman Remington,Baltimora 1925 – Titolo originale: A plan for the State of New York – Traduzione di Fabrizio Bottini