Premessa del traduttore
Nonostante il titolo, e forse anche nonostante le intenzioni, il testo che segue non è in senso stretto una critica al movimento della Città Giardino. Almeno al tipo di movimento che si studia nelle università, e che sta alla base di buona parte dell’urbanistica del Novecento. Trystan Edwards scaglia i suoi ironici strali sulla suburbanizzazione «romantica», come la chiama lui, ovvero quanto lentamente si sostituirà agli ideali originari del movimento. O forse, questo sarà il ritorno all’ordine dopo il grande tentativo di Howard, Unwin, Adams e compagni, per costruire il loro riformista «sentiero pacifico» usando una parola d’ordine di facile presa. E di facile manipolazione, si comprenderà poi, fino al massiccio snaturamento.
Del resto basta scorrere questo articolo (scritto più o meno agli albori del movimento), per scoprire già maturi tutti i tratti da immaginario piccolo borghese che sono ancora vivissimi anche nelle pubblicità notturne delle seconde case immerse fino al collo e oltre in un dilagante e amorfo verde, nelle fasce anonime e di risibile qualità residenziale di spiagge, colline, ex zone agricole malamente «urbanizzate». Si colgono sottopelle già in questi primi anni del Novecento i timori per quanto avverrà più tardi: l’automobilismo di massa, e il dilagare di quella che allora era solo una nuova moda quasi esclusivamente londinese, ma che oltreoceano in forme diverse già consumava ampie porzioni di suoli metropolitani (la Garden City di Long Island, New York, è del 1870 circa).
In conclusione, un testo in qualche modo «profetico», anche senza caricarlo di una consapevolezza che certo gli manca, attaccato com’è ad alcune questioni importanti, ma non certo socialmente pervasive, come la progettazione edilizia di case a buon mercato. Lo stesso Edwards, negli anni Trenta sarà più esplicito col suo opuscolo A Hundred New Towns for Britain, dove sostiene la necessità di mantenere alte densità e impostazione urbana al programma di ricostruzione e decentramento che già si sta delineando. Ma questa è un’altra storia. (f.b.)
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Un grande filosofo una volta disse che colui il quale ha come interesse prevalente la regola, anziché l’eccezione, va molto più in là nella conoscenza. Intendeva che quando una cosa è solo particolare o accidentale, e non rappresenta qualche principio generale, non vale la pena di studiarla. Se un certo modo di vivere è auspicato perché siano soddisfatti i bisogni di alcune particolari persone, i loro capricci possono essere oggetto di privata curiosità, ma non di interesse pubblico. Si può ragionevolmente sostenere che questo è un paese libero, e a un uomo non si può proibire di vivere nel tipo di abitazione che più gli aggrada, per quanto eccentrica possa apparire ad altri. Se può farlo in modo non invadente, si salverà dalle critiche più aspre. Le persone possono anche trasgredire le nostre più sacre convenzioni morali, ammesso che lo facciano in segreto e paghino ai vicini un tributo di ipocrisia. Ma quando si manifestano orgogliosamente e pubblicamente, l’importanza delle loro azioni si moltiplica per mille; perché in questo caso è lo stesso valore delle convenzioni ad essere chiamato in causa, e quella che prima era considerata solo un’eccezione tenta di elevarsi al livello di regola. I creatori delle Città Giardino sarebbero profondamente insultati se qualcuno suggerisse che le loro più alte ambizioni siano simili a quelle di un comune uomo d’affari, che esercita il suo riconosciuto diritto di soddisfare una modesta domanda, e di compiacere gli innocui capricci di pochi. Ma quando essi proclamano da alti pulpiti che il loro movimento non è per stravaganti e fissati, ma si fonda su principi universali, nessuno può essere accusato di attaccare le libertà umane se chiede che questi principi siano sottoposti a qualche tipo di accurato esame.
Ci dicono che si tratta di un importante movimento nazionale, e che questi pochi villaggi e sobborghi, che tanto poco assomigliano sia alla città che conosciamo, sia al tradizionale villaggio agricolo, sono i pionieri di centinaia di simili che verranno. Il richiamo è seducente, ed espressi in termini come questi: «Venite via dalla città. Lì la gente morirà per mancanza d’aria. Venite in campagna e vivete in un cottage circondato dal suo piccolo giardino. Le nostre città di oggi non simboleggiano la gloria della nostra razza, ma sono orribili monumenti al fallimento. I nostri antenati ci si spostarono per negligenza. Ma noi oggi non abbiamo scuse. Almeno possiamo evitarle, perché godiamo di strutture di trasporto sconosciute prima. Nonostante per il tempo presente siamo obbligati a sopportare le città come sgradevole necessità, ai loro margini fonderemo i nostri sobborghi fatati, dove gli uomini possano allungare le membra con agio in un dolce paradiso di riposo, lontano dall’empio turbinare e stress del traffico, dall’odore dei loro simili che conducono anguste esistenze dentro infelici comunità.
Ma in questa azione, per quanto benefica possa essere, stiamo solo facendo un compromesso con Satana. Essa non rappresenta pienamente il nostro scopo. Quando se ne presenterà l’occasione costruiremo una città del tutto nuova, autosufficiente, e senza nessuna delle caratteristiche delle vecchie, che sinora sono state la nostra rovina. Non ci saranno orride file di case tutte esattamente l’una uguale all’altra, perché l’uniformità è sempre il marchio della stupidità e della noia. Pensando alle diverse classi sociali, non dimenticheremo il lavoratore manuale. Anche se non possiamo sempre dargli una casa isolata, possiamo comunque offrirgli il diletto di un’abitazione a schiera, che è solo di poco meno incantevole. Dobbiamo ad ogni costo eliminare le aspre restrizioni della città. Avremo alberi e verde in abbondanza, naturalmente. Siamo emersi dalla natura un giorno, lasciateci tornare».
Se si accettano queste proposte, la nostra civiltà dovrà essere sottoposta davvero a trasformazioni di enorme importanza. Significherebbe che il movimento Romantico, che ha sperimentato tante avverse fortune in passato, ha trionfato completamente. Prima di cercare di considerare attentamente in dettaglio i termini della questione, lasciateci immaginare come un membro delle più esclusive sette dell’architettura accademica potrebbe considerare questo appello. Susciterebbe in lui quasi sicuramente una risposta caustica. «Le grandi città» potrebbe dire «sono state create nei tempi passati, e continueranno ad essere considerate un importante risultato. La vostra idea, di non aver niente da imparare dall’impostazione formale che vi compiacete di chiamare monotona, e su cui si è spesa una quantità incalcolabile di genio, è non poco presuntuosa. Il vostro odio per la misura e la disciplina nel progetto non è un segno di originalità, come bizzarramente pensate, ma nasce da debolezza mentale. Inoltre, l’organizzazione degli edifici nella più stretta correlazione reciproca, non ha fallito nel rispondere ai più urgenti bisogni dell’umanità. Ha formato un ambiente dove si risponde alle esigenze del commercio, fiorisce la cultura, sono assicurate le piacevolezze della vita sociale. Nelle città troviamo le strade affollate, alloggi contigui e concentrati insieme, l’imponente piazza, la vasta facciata. La società non abbandonerà queste cose tanto in fretta. Siamo emersi dalla natura un giorno; e ce ne staremo lontani in futuro».
Il movimento della Città Giardino è stato iniziato da un gruppo di riformatori sociali. Il suo scopo originario era di attenuare alcune gravi malattie che minacciavano e tuttora minacciano il nostro benessere nazionale. Appariva ovvio, ad essi, che molte migliaia dei loro concittadini soffrivano la vita nei quartieri sovraffollati delle nostre città, e che chiedevano un rimedio a questo stato di cose. Avevano opinioni nette, anche riguardo agli aspetti estetici dell’Urbanistica. Le Città Giardino dovevano essere non solo sane, ma anche belle. Sino ad un certo punto è possibile separare gli aspetti sociali, e quelli estetici, del problema. Cominciamo dall’aspetto sociale.
Nessuno può giungere a sane conclusioni sull’architettura, a meno di considerare sempre come dogma il fatto che l’uomo è più importante della sua abitazione. Se qualcuno la pensa in altro modo, è un idolatra. Dunque, se si può provare che davvero nessuna casa è più salubre di quella unifamiliare di moderate dimensioni, agli architetti dovrebbe essere proibito di progettare le nobili abitazioni in linea, e molti degli altri edifici grandi e monumentali, che danno alla comunità che li ospita un così grande senso di dignità e potere. Ma dobbiamo chiederci se davvero la necessità di questo sacrificio è certa. Se fosse così, non solo le familiari strade dell’East End di Londra dovrebbero essere demolite il più presto possibile, ma anche nel West End, migliaia di abitazioni considerate di lusso e ora molto ambite, sarebbero dichiarate insalubri. Gli abitanti di Grosvenor Square sarebbero obbligati alla caccia di un alloggio più sano. Dovremmo demolire le conigliere di Park Lane.
Ora, nel criticare le nostre città spesso si confonde il problema dell’aerazione con quello del sovraffollamento. In alcuni casi l’abitazione può essere malsana perché è impossibile far entrare aria e luce nelle stanze, a causa di gravi carenze costruttive; ma in altri casi può risultare che la casa sarebbe di qualità eccellente se le si fosse consentito di adempiere al suo scopo originario, di soddisfare le necessità di una sola famiglia, anziché i bisogni di cinque o sei. È assurdo condannare un tipo di edificio per quello che gli accade per puro caso, e di strapazzare l’architetto per gli errori del politico. Affrontando le questioni dell’igiene, occorre contrastare la città corrente col sobborgo giardino realizzato in modo estensivo, a densità di 25-30 abitazioni per ettaro. Prendiamo in considerazione in primo luogo gli alloggi delle classi più povere, di persone abituate a pagare un affitto di circa cinque scellini. Si tratta di un prezzo più alto di quanto la maggior parte di esse si possa davvero permettere, e spesso così le famiglie sono obbligate ad una alimentazione insufficiente.
Si dovrebbe pensare, dunque, che il loro primo desiderio non sia un cottage molto grazioso, ma un alloggio che gli dia la massima comodità per il denaro che spende. Il bisogno urgente non è un tipo di casa molto diversa da quella che abita da sempre, ma una un po’ più grande, con stanze ariose dove tre bambini possano dormire senza danni per la loro salute. È l’orribile ammucchiarsi di bambini in piccole stanze, a mettere a rischio la loro crescita. Ma bisogna confessare che, nonostante ci siano molte case a buon mercato nei sobborghi giardino, l’economia è stata orientata nella direzione sbagliata. Nell’adottare uno stile pittoresco, si sono acquisite alcune delle peggiori caratteristiche di insalubrità degli edifici medievali; per esempio il piano superiore è stato collocato nel tetto, e ha soffitti bassi e inclinati con abbaini che lasciano entrare poca luce nelle stanze. L’effetto esterno può avere un certo fascino per il pittore di paesaggi, ma è difficile considerare case del genere un buon esempio di edilizia del ventesimo secolo.
Che valore ha, avere abbondanza di aria fresca all’aperto, se i nostri romantici ci impediscono di respirarla? Se si sostiene che non è possibile permettersi stanze di forma più razionale, la risposta ovvia sarà che è invece possibile fare a meno delle maggior parte dei lucernari e piccoli abbaini, e mezze travi fittizie in legno, e di tutti gli altri orpelli medievali di cui queste case sono piene. La salute degli abitanti viene prima. Un altro suggerimento che porterebbe a considerevoli economie, è che le case siano costruite in schiere, di preferenza lunghe. È ovviamente un grosso risparmio, se la maggioranza delle case ha solo due pareti esterne. Con questo tipo di organizzazione esse sono meno propense all’umidità e, anche, più calde in inverno e fresche d’estate. Immaginatevi la gioia del selvaggio preistorico quando scoprì questa cosa! Come deve aver battuto le mani per la gioia! Si potrebbe quasi dire, che quando la sua capanna finì di essere isolata, quando molte di esse furono radunate insieme, questo fu uno dei più grandi passi in avanti della civiltà dall’inizio del mondo.
E allora agli urbanisti delle città giardino che cercano l’economia ci si può permettere di consigliare di provare con le vie. Non è un salto nel buio. È una cosa già tentata prima. Le vie sono strade con una fila continua di case su entrambi i lati, e non devono essere in nessun modo monotone. È possibile esprimere intelligenza e spirito nella loro progettazione, senza indulgere in abbellimenti costosi. E ci sono tanti costi in meno per le reti dell’acqua, della fognatura, del gas. Chi lo vuole, un eccesso di tubi! Allora, evitando le stravaganze, possiamo offrire al lavoratore manuale una casa comoda che stia nelle sue possibilità, che abbia stanze di forma e altezze decenti. Per gli scopi dell’aerazione non è obbligatorio che ogni stanza di dimensioni normali abbia una finestra su più di un lato. Con la porta e la cappa del camino c’è abbastanza corrente. Anche nei sobborghi giardino si vedono spesso case con la superficie di un’intera parete priva di finestre: per quanto riguarda la ventilazione, la casa avrebbe anche potuto non essere singola.
Il sostenitore del sobborgo giardino ha un atteggiamento duplice verso i lavoratori. Vorrebbe che chi lavora in città vivesse in periferia, così che almeno la sera e nei fine settimana possa godere almeno alcuni dei vantaggi della vita di campagna. Ma è anche ansioso di riportare un certo numero di persone alla terra, e a stabilircisi definitivamente. Per quanto ammirevoli possano essere questi obiettivi, il modo in cui è stato proposto di raggiungerli ignora completamente i noti istinti del lavoratore, sia in città che in campagna, e nella tradizione del suo passato. Vale la pena di prestare una certa attenzione a un fatto piuttosto importante, che mostra come talvolta i membri delle classi povere mostrino quasi inconsapevolmente la propria disapprovazione per i benintenzionati progetti di chi li vorrebbe riformare. Se uno speculatore costruisce cottages per lavoratori ai margini di un quartiere industriale, capita sovente che essi non vengano affittati e restino vuoti. Ma quando c’è una casa disponibile, anche di scarsa qualità e collocazione, in pieno centro, sarà presa immediatamente, e molte richieste saranno respinte. Quali le cause di questo fenomeno? Non c’è il caso che l’uomo comune ami la compagnia dei suoi simili e voglia stare al centro delle cose?
Questo modo di vivere in case rade e sparse è profondamente innaturale. Non c’è bisogno che ogni casa sia isolata, come se l’intero pianeta fosse un ospedale per malattie infettive. Quando Aristotele informò i suoi contemporanei sul fatto che l’uomo e animale sociale, forse non stava dicendo una cosa scontata, ma una verità difficile, che molte persone in tutte le epoche hanno mancato di comprendere. Siamo davvero come api, che devono accalcarsi insieme. Il lavoratore è ben contento di stare un una schiera di abitazioni, di stare sulla porta di casa e parlare coi vicini, e vedere gli altri vicini sull’altro lato della strada. Tutto quello che chiede sono case e strade migliori. Questo forse può essere deplorevole, e forse dovrebbe essere sua ambizione quella di avere un cottage indipendente, ed essere come il mitico Inglese nel suo castello. Può essere diventato pavido di spirito, e non albergare più in petto l’amore per l’indipendenza.
D’altra parte, è possibile che dopotutto abbia ragione lui, e che sbaglino i suoi detrattori. Non è molto diverso dai membri delle classi più fortunate, nel fatto di voler stare vicino ai teatri, alle sale da musica, ai cinema, alla piscina pubblica, al parco e a tutte le altre attrazioni che può offrire una città, di cui le più importanti, e di gran lunga, sono la gran folla umana e l’aspetto luminoso e attivo della città. A Londra ci sono file di case lussuose di fronte a magnifici giardini, e a me no di cento metri di distanza stanno indescrivibili catapecchie. Gli abitanti delle prime non hanno alcuna intenzione di abbandonare la città. «Anche noi ci rifiutiamo di lasciarla» gridano gli uomini delle catapecchie. Le nostre città dovrebbero essere tanto belle che chiunque vorrebbe starci dentro. Se sono insalubri, dobbiamo renderle salubri. Se sono tropo rumorose, dobbiamo fare i passi per renderle meno rumorose. Se sono troppo fumose, dobbiamo eliminare i fumi. In fondo, cos’è un sobborgo?
La stessa parola «suburbano» implica in qualche modo una seconda scelta, un atteggiamento mentale ristretto e farisaico. Ciò può derivare dal fatto che molti sobborghi sono privi dei peggiori difetti della città, come la polvere o il sovraffollamento, ma non hanno niente della distinzione di un nobile edificio, anche quando è macchiato di fuliggine. Ma di tutti i tipi di sobborgo, forse il più scadente e deprimente è il classico Sobborgo Giardino. Non ha né l’affollato interesse della città, né il fascino quieto della campagna. Non ha né i vantaggi della solitudine, né quelli della società. E si devono sottolineare anche i maggiori inconvenienti di questo modo di vivere. Il lavoratore non vuole attraversare grandi distanze per incontrare amici quando è finita la giornata lavorativa. Alcuni di questi sobborghi sono tanto grandi che c’è bisogno di tram per gli abitanti, ma non si possono utilizzare senza sacrificare l’aspetto rustico tanto desiderato. Visto che le persone di mezzi limitati non hanno carrozze private o automobili, non dovrebbero avere alloggi sparpagliati e lontani l’uno dall’altro.
Esaminiamo ora la proposta di riportare parte della popolazione alla terra. Una delle cause della depressione agricola in questo paese è la mancanza di abitazioni adatte per lavoratori. Si supporrebbe quindi che essi fossero lasciati all’uso indisturbato dei cottages dove già vivono. Ma questo non accade, e sarebbe desiderabile che i dirigenti del movimento Romantico dei nostri giorni potessero contenere le attività criminali dei membri del ceto medio che, nel proprio zelo ad essere tutt’uno con la natura, sono costantemente in cerca di piccoli cottages da fine settimana, e mettono così il lavoratore fuori dalla propria casa. Ma anche coloro che vogliono promuovere l’agricoltura creando villaggi giardino, a causa delle proprie inclinazioni Romantiche, stanno in una certa misura ostacolando i bisogni dei lavoratori. Non hanno considerato elementi importanti della natura umana. Getterebbe un po’ di luce sull’argomento un’occhiata all’Inghilterra com’era prima dell’avvento dell’era industriale. Scopriremmo che nonostante ci fossero parecchie fattorie isolate in tutta la campagna, la gran parte della popolazione era raccolta in una moltitudine di piccoli villaggi, e in quasi ogni villaggio, per quanto piccolo, c’era una via commerciale principale. Cosa illustra, questo, se non l’inveterato desiderio dei lavoratori di vivere nella più stretta prossimità l’uno con l’altro? Ovunque possibile, le case erano costruite a formare vie. Non c’è ragione per cui dovremmo ignorare questa tradizione, che ha dalla propria parte sia l’economia che la convenienza.
Questo per quanto riguarda le classi povere. Si assumeva, da parte dei fondatori di Città e Sobborghi Giardino, che quanto piaceva a loro sarebbe piaciuto anche agli altri. Erano ispirati da una grande passione per la natura. Vediamo sino a che punto è probabile che riescano a soddisfarla. Si può calcolare facilmente che se questo sviluppo estensivo diventasse la regola, entro un certo periodo di tempo ci sarebbe poca vera e propria campagna disponibile. Questo fatto sta iniziando ad essere noto, ci sarà una reazione contro questo modo di edificare, e si scoprirà che chi ama davvero la natura è chi ama la città. Verrà l’epoca in cui il terreno destinato alle case sarà drasticamente ridotto, in modo tale da lasciare che le bellezze della natura possano essere destinate al godimento pubblico. Questa regola è altamente necessaria, perché oggi vediamo piccole case sorgere di continuo nei punti più attraenti. È molto bello, per chi arriva primo. Se una dozzina di spettatori stanno in piedi sparpagliati in vari punti di un teatro, avranno una vista eccellente, ma se lo fanno tutti il vantaggio sparisce.
In questo movimento si mostra uno spirito di individualismo estremo: un individualismo che a volte va contro i suoi stessi fini. Molti vogliono case isolate circondate da un giardino proprio. Ciascuna è diversa da quella vicina, e anche le varie stanze vogliono affermare sé stesse. In genere possiamo dire dall’esterno quale è il soggiorno, quale la cucina, e così via. Ma se non c’è qualcosa che la metta in risalto, uno sfondo sul quale ogni casa possa brillare, la sua individualità cessa di esistere. La gente può amare esprimersi, e amare la natura, ma essere incapace di creare bellezza. Possono ottenere poco più dell’opportunità di guardare, dalla finestra di una vistosa stanza da bagno, la natura che hanno dissacrato.
Si ritiene popolarmente che basti amare gli alberi, i fiori e i tramonti per aver diritto di dissertare d’arte. È una grottesca illusione. Prostrarsi di fronte a cose alla cui bellezza l’uomo non ha in alcun modo contribuito, è di solito un segno di decadenza mentale. Ammirare gli alberi non richiede alcuno sforzo, nessun esercizio, nessuna capacità di giudizio. C’è una grande sdolcinatezza alla base del concetto di «Città Giardino». Con metodi facili, otteniamo risultati dozzinali. Una città può avere dei giardini al suo interno, e si può esprimere del genio nel modo in cui essi sono organizzati. Il verde, subordinato al lavoro dell’uomo, ne enfatizza la bellezza. Ma in una «Città Giardino» il verde viene per primo, e la città arriva dopo. Questa è regressione.
È una cosa pericolosa, quando la gente si mette a costruire una città senza percepire la particolare qualità e bellezza che insita nelle città, a costruire case aggregate senza considerare in che modi questa aggregazione debba influenzare il loro progetto, e l’ha influenzato nel passato. Se c’è una casa isolata in un contesto naturale, ed è il principale oggetto di interesse se ci si avvicina ad essa, è consentita una grande individualità formale; e questo vale per un grande numero di case, ciascuna sul proprio terreno, a tale distanza da non confliggere l’una con l’altra. Ma quando si hanno tante piccole villette che possono essere viste simultaneamente, l’effetto è di agitazione estrema. Non conta quanto singolarmente le case possano essere graziose (e alcune delle case nei Sobborghi Giardino sono molto graziose se le si considera isolatamente): devono essere modificate perché possano entrare in relazione con quelle vicine.
Questa necessità non si poggia su una teoria che chiunque ha il diritto di mettere in discussione, ma su un fatto psicologico. Quando ad una unità di percezione corrisponde una unità dell’oggetto percepito, l’atto di osservare è reso piacevole, perché si accompagna ad una pace mentale. Ci sono due classici modi in cui una pluralità di case può essere trattata, e nessuno dei due è stato adottato nei Sobborghi Giardino. Nel primo modo, le case sono mantenute separate, ma si affacciano sulla strada. Predominano semplici forme rettangolari , linee orizzontali, e sono comuni tetti piani. L’altro metodo è di avere strade definite da case continue, e in questo caso l’unitarietà può essere di ordine superiore. Ma non è una soluzione, quella di sparpagliare indiscriminatamente case singole dei più disparati progetti, o anche in gruppi di quattro, o sei, o otto, come si fa comunemente, e contare su un po’ di cespugli per dare l’effetto di una composizione.
E in molti degli edifici dei sobborghi giardino si intuisce un vero odio per la progettazione. Anche quando si adotta uno schema formale come una breve schiera o i tre lati di un quadrangolo, l’autore opta per l’insolito, per evitare il formalismo almeno nei prospetti; appiccicherà abbaini dappertutto, e le finestre del piano superiore non avranno nessuna rassomiglianza con quelle di sotto, come se i suoi canoni estetici derivassero da una interpretazione troppo letterale del testo: «Non lasciare che la mano destra sappia cosa fa la sinistra». Ma se gli edifici non mostrano una struttura nella propria forma, se sono inclini ad essere un po’ allegri, in ogni caso le loro caratteristiche generali rappresentano l’uniformità stessa. Una sola nota li pervade tutti: quella della domesticità di campagna. Abbiamo reso domestiche chiese, sale comuni dei villaggi, banche, negozi.
Sono tutti edifici costruiti nel ventesimo secolo, ma non sono moderni. Questo movimento per la Città Giardino esprime un grande disprezzo per il passato. Il Romanticismo è una rivolta contro la civiltà a causa dei grandi mali che sembrano connaturati in essa. Si assume che, se solo potessimo mettere da parte convenzioni e artifici, tutto andrebbe per il meglio. Gli slums sono cresciuti nelle città, quindi le città devono essere condannate. Questo atteggiamento di impazienza esprime stanchezza di spirito e mancanza di senso della storia.
Da: The Town Planning Review, Vol. IV, luglio 1913 – Titolo originale: A Criticism of the Garden City Movement– Traduzione di Fabrizio Bottini
Si veda anche in questo sito, sulla medesima falsariga critica, L’equivoco globalizzato della città giardino
Immagine di copertina da «Garden Cities in Theory and Practice», 1905