Nei primi anni del fascismo, quando apparivano ancora vivaci alcune spinte variamente riformatrici che ne avevano sostenuto l’ascesa, uno studioso e «civil servant» italiano provava a porsi in modo innovativo il problema della pianificazione territoriale e urbanistica, cercando un percorso alternativo alla scorciatoia artistico-intuitiva parallelamente messa in campo dagli architetti vicini al regime, e che poi di fatto si imporrà. L’idea è quella di far intrecciare in modo organico le competenze già presenti all’interno delle amministrazioni locali, conferendo loro sia nuove possibilità e obiettivi, sia strutture collaterali a carattere scientifico, prima fra tutte la Scuola di Alti Studi Municipali sul modello francese, di cui l’Autore pubblica nel 1926 un progetto dettagliato in volume. Negli estratti di un successivo articolo che seguono, e che riproduco in forma di «dialogo impossibile» intercalando con osservazioni mie, Silvio Ardy abbozza questa sua idea di urbanistica, con argomentazioni che ancora oggi paiono ineccepibili.
1928 – I problemi urbanistici sono press’a poco uguali sotto tutti i climi e quale si sia l’ordinamento generale dello Stato o particolare del Comune che deve trovarne la soluzione, dipendendo essi da un’unica legge, che è il rapporto fra l’agglomerato umano e la civiltà in rapido pulsante progresso. L’Italia per prima si rifà una nuova veste di giovinezza e intende febbrilmente a rendere perfetta ogni sua forma di attività sociale. Favorendo la vita rurale col suscitare nuovo interesse e più calda simpatia al culto dell’agro, essa si preoccupa particolarmente del fenomeno dell’inurbamento, che vuole mitigare con savie leggi sulle industrie e regolare coi mezzi più moderni che il pensiero scientifico esprima e sagacia di amministratori concreti. Ogni città italiana è oggi una insonne fucina di studi, di provvedimenti, di opere, di cui il popolo sente a grado a grado il beneficio, riconciliandosi colle pubbliche amministrazioni il cui vieto concetto di pesantezza e di vacuità cede il posto ad un senso di vero prestigio e di esemplare attività diffuso ormai nell’animo delle masse.
2017 – Proviamo pur schematicamente a riformulare lo scenario: esistono dei problemi urbanistici diciamo così «globali» a cui si trovano delle soluzioni prima di metodo e di massima, che poi trovano applicazione locale. Ad esempio favorendo una urbanizzazione sostenibile che risparmi il più possibile le superfici agricole e naturali, favorisca la tutela del territorio e delle risorse (acqua, aria, energia), eviti il formarsi del cosiddetto sprawl a confondere città e campagna. Ma senza negare che il processo di urbanizzazione, ovvero l’idea di urbanità, coincide sempre più con la stessa civiltà, e che la dimensione planetaria ormai assunta pone sfide reali e urgenti, a cui va data una risposta collettiva altrettanto urgente. Questo lo scenario che fa da sfondo alla ridefinizione di una «idea di urbanista», ieri e oggi.
1928 – Ma se l’arte e la poesia sono tanto più preziose quanto più restano individuali, la scienza per essere veramente utile deve essere universale, propagando nello spazio le sue applicazioni. E così la soluzione di un problema urbanistico complesso non può e non deve restare fatica isolata, ma dev’essere largamente divulgata perché altri, a beneficio di altre cittadinanze, la sperimenti; perché altri sollievi alla aggrovigliata esistenza collettiva, altri ausilii alla incontenibile e prodigiosa volontà di migliorarsi della società umana essa porti lontano, attraverso i continenti e al di là degli oceani. Allora chi lavori con profonda indole, con ininterrotta abnegazione a seguire, o a precedere, l’assillante ritmo della vita urbana, per disciplinarne i fenomeni e aprire il varco a nuove soddisfazioni di vasti bisogni, saprà che non solo per la sua gente e nell’ambito delle sue mura avrà lavorato e sofferto, ma anche per altre grandi zone umane cui urgono le stesse necessità e rifulgono le stesse speranze.
2017 – Bastano intuizione e buona volontà, a risolvere problemi urbani e sociali complessi? Buon senso ed esperienza ci dicono di no, anche se certamente intuizione e buona volontà stanno alla base della riflessione per superare sé stesse, iniziando a definire una struttura, un quadro di riferimento, dentro cui dovrà operare l’acquisizione di conoscenze sistematiche, multidisciplinari e in forma scientifica. Ma non basta ancora, perché occorre coinvolgere nel processo decisionale la collettività, intesa vuoi nelle sue forme delegate, tecnico-amministrative e politico-decisionali, sia quelle dirette dei cittadini, singoli o a gruppi, che esprimono interessi e aspirazioni fortemente legate alla città e alla qualità dell’abitarla.
1928 – Si dirà – è veramente l’urbanesimo una scienza? O, per avventura, il suo contenuto non è già quello di altre scienze? L’obbiezione ha una parvenza di fondamento come, a ben guardare, l’ha per altre grandi correnti del pensiero umano, alle quali pure il carattere di scienza è stato giustamente riconosciuto. La scienza urbanistica infatti si vale di tutte le altre scienze: dell’igiene come dell’economia politica, dell’ingegneria come del diritto, e vive con esse una feconda vita di relazione. Ma essa non è un semplice mosaico di altre discipline: perché le scevera, le elabora e le amalgama in un tutto ispirato ad un’unica concezione: la vita urbana.
2017 – Partiamo dalle ultime parole di Ardy: «vita urbana». Qui si «amalgama in un tutto ispirato ad un’unica concezione» la serie degli apporti disciplinari, politici, organizzativi (vedi elenco finale) che da soli non riescono a comprendere il metabolismo urbano e trarne al meglio le potenzialità per lo sviluppo civile. Un amalgama che, chiaramente, si realizza appunto nella vita urbana, nell’interazione fra soggetti pubblici, privati, singoli e associati. Nulla di più lontano dall’uomo solo e pensoso che, nello stile delle avanguardie artistiche del ‘900, da sempre si immaginano gli architetti-urbanisti, incapaci di uscire dal proprio modello di studio del pittore o dello scultore, per quanto contornato di assistenti e maestranze varie. L’urbanista è un amalgama virtuoso, una prospettiva, non una persona, o non necessariamente una persona sola.
1928 – Non è una fibra completamente nuova che forma il tessuto dell’urbanistica, ma è la colorazione che la distingue da tutte le altre. E noi di un colore nuovo da dare a questa complessa materia ne abbiamo veramente bisogno: sentiamo la necessità di uomini che vedano le policrome discipline sotto il colore unico del buon governo della Città: di reggitori che tutte le scienze e tutte le arti sappiano sfruttare per giungere al supremo interesse civico di avere delle cittadinanze ordinate, laboriose, sane, bene alloggiate, favorite di ogni mezzo per il loro benessere, sì da farne meravigliosi perfetti strumenti per le sempre crescenti fortune della Patria.
2017 – Di nuovo, l’amalgama innovativo che chiamiamo urbanistica si contraddistingue per la capacità di mescolare ad assetto variabile, e declinare localmente, gli apporti delle varie discipline e soggetti, che si evolvono vuoi per proprio conto negli specialismi e approfondimenti di settore, vuoi negli intrecci e virtuosi conflitti derivanti dall’operare insieme per un solo obiettivo. Non certo secondo quel percorso creativo tutto individuale dello studio professionale che sfocia nel progetto, e quasi fatalmente esclude quanto in esso non può trovar posto. Quello urbanistico è solo ed esclusivamente un processo, non finisce mai, si ricompone di continuo.
1928 – L’urbanistica è organizzata in dodici ambiti
Amministrazione e Finanza
Demografia e Statistica
Piani Regolatori
Edilizia Privata
Strade
Trasporti
Igiene e Sanità
Acquedotti e Fognature
Polizia e Circolazione
Consumi e Prezzi
Istruzione
Varie (esempi: accordi intercomunali; arredo urbano; sperimentazione tecnologica e organizzativa …)
2017 – E si potrebbe qui provvisoriamente concludere: ci pensi ciascuno dei lettori e lettrici di questo terzo millennio, a riformulare o accorpare, o articolare, quei dodici ambiti (amministrativi, culturali, tecnici, normativi) così da adattarlo alle nuove prospettive. Cercando magari di non ripetere il madornale errore degli architetti del Ventennio, così certi della propria superiorità intuitiva da plasmarsi su misura l’Istituto Nazionale di Urbanistica, nato di lì a poco proprio sconfiggendo il progetto di Alta Scuola Nazionale di Studi Municipali, proposto da Ardy.
E si riveda magari in questa più ampia prospettiva la serie di contributi, storici e non, disponibile in queste pagine alla voce Urbanista
Immagine di copertina da Arthur Gallion, The Urban Pattern, 1950