Mi occupo qui di centri minori, villaggi o cittadine con una popolazione che può andare da 2.500 a 25.000 abitanti, magari anche 50.000 persone. Ci sono parecchi equivoci sul senso dell’urbanistica, ma nessuno è più lontano dalla realtà come quello che la ritiene applicabile soltanto su città di grandi dimensioni. A dire il vero parrebbe esattamente il contrario. Nei grandi centri la situazione appare rigidamente prefissata e difficile da gestire. La pianificazione urbanistica, specie dentro il nostro sistema di statuti municipali e legislazioni statali, in fondo nella situazione attuale ha poco gioco nelle grandi città. Deve al massimo contentarsi di migliorare le situazioni peggiori, attenuando i casi più acuti di sovraffollamento, correggendo i più macroscopici errori del passato. Idee di più ampio respiro, nelle grandi città, si possono esprimere solo negli ampliamenti, negli interventi sulle periferie, o su quelli che oggi sono a ben vedere piccoli centri autonomi minori periferici ai margini del maggiore.
Diverso il caso dei villaggi e delle cittadine, dove l’urbanistica può davvero cambiare le cose sul lungo periodo. Dato che lì si può modificare tutto, in un territorio per la maggior parte ancora da costruire e intatto. Dove l’attuale centro rappresenta semplicemente il nucleo della città futura. Si possono cambiare gli accessi ferroviari, eliminare gli attraversamenti a livello, riqualificare le sponde per attività commerciali o di tempo libero, o per entrambe insieme, ricavare zone verdi anche nel cuore della città, una organica griglia stradale con percorsi principali adeguati, edifici pubblici organizzati per gruppi, una rete di parchi che costituisca un sistema di spazi pubblici per crescere contemporaneamente al resto. Si tratta di cose, tutte, che saranno indispensabili prima o poi a qualunque città che si sviluppi, e che si possono ottenere abbastanza facilmente e con investimenti limitati. Sinora ci si è occupati troppo di raddrizzare i torti della società, e troppo poco di guardare avanti, a un nuovo migliore ordine sociale in grado di eliminarli quei torti, e abbiamo sprecato troppe energie guardando ai mali delle grandi città, invece di attivarsi per evitarne il ripetersi inutile nei centri minori, che saranno le città importanti del futuro. È finita l’epoca della cura, inizia quella dell’ascolto, della prevenzione.
I centri minori sono importanti perché sono molti. Nel 1900, erano 1.700 negli Stati Uniti quelli con popolazione da 2.500 a 25.000 abitanti, complessivamente interessanti poco più di dieci milioni di persone. Le statistiche del censimento 1910 senza dubbio ci mostreranno una netta crescita, con cifre probabilmente superiori a quelle del totale dei centri com più di 300.000 abitanti. Al 1900 le sei grandi città con oltre 600.000 persone sommavano solo otto milioni di abitanti, due in meno del totale centri minori. Ecco quanto può essere grande l’interesse per questi nuclei così distribuiti, con oltre dieci milioni di anime in costante rapida crescita.
I due approcci principali alla pianificazione di centri piccoli e medi sono: (1) la città nuova progettata prima dell’insediamento degli abitanti; (2) l’intervento su una città già esistente per adeguarla a mutati bisogni. Ovvi i vantaggi del primo metodo, se ricordiamo quante città sono state concepite così per scopi particolari di carattere politico, industriale o residenziale. E si tratta di un metodo che vorremmo vedere più spesso. Washington ne rappresenta l’esempio più illustre. Del resto però è abbastanza raro poter davvero concepire la nascita di una città sin dal principio, di solito occorre lasciare che in qualche modo facciano il proprio corso naturale tutte le varie e complesse influenze che determinano scelta della località, strade, edifici, e poi partire da quei risultati. Ma quando si è insediata una pur piccola popolazione in modo spontaneo, ed emergono indicazioni inequivocabili di sviluppo per ragioni di clima, commerciali, o di altre forze, verso la crescita in grande centro, allora diventa intelligente e opportuno ripensarla e adeguarla al suo futuro.
Ci sono in questo paese parecchi centri che, oggi con una popolazione da 25.000 o anche 50.000 abitanti, sull’arco di una generazione o meno con gli attuali tassi di sviluppo, si possono ragionevolmente prevedere diventare molto più grandi. E l’errore più grave è quello di non intervenire in anticipo, progettando e riprogettando, sfruttando l’arte della previsione per cambiare la situazione, rimodellando per le esigenze future in nuovi territori che si apprestano ad essere occupati.
Pare più opportuno far riferimento più ai nuovi assetti che a quelli antichi, negli interventi di progetto, quando si interviene per tempo. Le più belle città europee, quelle sempre prese ad esempio di quel che si dovrebbe fare oggi in un centro moderno, sono certamente e senza alcuna eccezione il risultato di uno sviluppo spontaneo, pittoresco, casuale, regolato da un buon senso collettivo, ma anche dell’intervento continuo e ripetuto di una buona urbanistica via via adeguata alle nuove condizioni e bisogni. Proprio quello che ci manca.
In tutti gli Stati Uniti esistono città dove sarebbe relativamente facile migliorare l’accesso alle sponde dei corsi o specchi d’acqua, riorganizzare il sistema degli edifici pubblici, aggiornare a criteri da ventesimo secolo i trasporti, programmare per il tempo libero superfici adeguate a quanto si ritiene oggi indispensabile, eppure quelle stesse città paiono restate sinora immobili, prive di senso del futuro, capacità e volontà, per iniziare in anticipo un lavoro che prima o poi dovrà essere comunque fatto. Per queste città minori vorrei indicare tre obiettivi fondamentali: (1) più preveggenza (2) più competenze (3) più chiarezza negli obiettivi ideali.
Per prima cosa quindi la preveggenza. Le statistiche censuarie ci indicano chiaramente come le città crescano. Senza particolari clamori si spostano da una fascia statistica all’altra senza che apparentemente qualcuno se ne accorga o intervenga. Con quella crescita cambiano radicalmente le esigenze, ma si continua a far poco o nulla per trovare una risposta al cambiamento. Ciò appare particolarmente vero per quanto riguarda la realizzazione di ampi viali o l’acquisizione di superfici per spazi pubblici. Invece di anticipare i bisogni, come dovrebbe fare una amministrazione cittadina, ci si limita invece a inseguirli. La preveggenza delle città tedesche, tra le meglio amministrate del mondo, può insegnarci parecchio. I loro programmi sono sempre molto più avanti del manifestarsi acuto dei problemi, ed esistono avanzate politiche di acquisizione dei terreni: in tanti casi la superficie pubblica è più della metà di quella edificabile e si sono accumulati milioni di dollari di valore economico pronti da investire in altre acquisizioni.
Secondo, la competenza, da impiegarsi nella pianificazione e progettazione di piccoli centri. Spesso non se ne tiene conto, e ciò crea l’accumularsi di problemi. Non si è convinti del valore di chi sa fare certe cose. «L’atteggiamento delle società democratiche nei confronti dell’esperto – scrive un autore contemporaneo – è di folle diffidenza. Mentre potrebbe essere invece di grande servizio alla causa democratica stessa liberarsi di questa diffidenza. Generoso, spontaneo, entusiastico riconoscimento della capacità e cultura, rispetto per le realizzazioni e obiettivi conseguiti, capacità di fiducia e apprezzamento di ciò che viene fatto: sono tutte virtù che una vera democrazia non può non adottare risolutamente, né negare il valore del coltivarle scrupolosamente». Tanto tempo fa John Stuart Mill aveva riassunto brevemente il medesimo concetto in questo modo: «Le persone dovrebbero avere la capacità di servirsi di altri più capaci di loro».
Terzo, la chiarezza negli obiettivi ideali. Il cambiamento è qualcosa di inevitabile, e lo sappiamo bene. Se tale cambiamento è male orientato non porterà di sicuro alcun bene. Non si può guardare al futuro come qualcosa che avverrà a casaccio: dobbiamo determinarlo, per lo meno nei tratti generali, così come lo desideriamo, e poi lavorare per realizzarlo. Prima di tutto occorre costanza, e un ideale a cui tendere. La particolare topografia e condizione dei luoghi, le differenze sociali, l’organizzazione e articolazione economica, sono tutti fattori di opportunità che devono trovare sbocco naturale nei programmi per i centri minori, e spesso questi piani si posso elaborare abbastanza semplicemente, specie quando si può attivare una collaborazione coi privati.
Tutti questi tre punti, sono perfettamente praticabili, così come dimostrano le esperienze di piano e realizzazioni in alcune città americane. A titolo di esempio concreto vorrei qui esporre, perlomeno nei tratti generali, il caso di Glen Ridge, New Jersey, un territorio a poco meno di venti chilometri da New York City, e popolazione circa duemilacinquecento anime. Alla bellezza naturale della propria situazione originaria, Glen Ridge ha saputo aggiungere illuminate scelte pubbliche e uno spirito civico raro da trovarsi a quel livello in centri tanto piccoli.
Preveggenza, copiosi investimenti pubblici, saggezza, si sono uniti a donare alla generazione attuale e a quella futura prospettive di grande valore. In primissimo luogo la principale caratteristica di paesaggio naturale del territorio – il Glen — è stato destinato a parco pubblico. Si tratta di qualcosa di unico, impossibile da riprodurre altrove, ma che lasciato alla pura iniziativa privata si sarebbe degradato sino all’estremo. E non si può non ammirare gli abitanti di Glen Ridge per averlo capito ad avere acquisito la zona in tempo. Poi l’amministrazione, immagino discutendo con le ferrovie, è riuscita a trovare la migliore collocazione per binari e stazioni. Solo due i passaggi a livello (che saranno presto eliminati peraltro), centrali le fermate, e ben organizzate le aree attorno. Si dimostrano qui tenace costanza e preveggenza, oltre alla capacità di gestire alcuni aspetti estetici che abitualmente nelle zone residenziali diventano elementi di degrado. Mi riferisco in particolare a tralicci e fili del tipo che si vede mal collocato in tanti quartieri di case e negozi.
Nel solco di queste adeguate e progressiste politiche pubbliche, il logico passaggio successivo è stato quello di predisporre, su iniziativa di alcuni attivi cittadini di Glen Ridge, un Piano generale e studio per lo sviluppo futuro. Il programma di attuazione contiene le seguenti raccomandazioni:
- Il progetto per la trasformazione della Stazione della Lackawanna Railroad e dintorni comprenda l’ampliamento di Ridgewood Avenue in corrispondenza del ponte, spazi adeguati a sud per carri e altri veicoli, con nuovo ingresso da Woodland Avenue, eliminazione del passaggio a livello di Hillside Avenue, allargamento di Clark Street al sottopasso ferroviario
- Si cerchi di convincere la Erie Railroad ad eliminare il passaggio a livello di Wildwood Terrace e si realizzi il cavalcavia di Sherman Avenue.
- Si intervenga sul centro di Glen Ridge, all’incrocio tra Ridgewood e Bloomfield Avenue, acquisendo le superfici nell’angolo nord-occidentale e destinandole a funzioni pubbliche o collettive.
- Che si considerino i vantaggi di realizzare una nuova sede municipale, negozi, ed eventualmente un piccolo albergo o locanda nella zona centrale.
- Che si consideri l’opportunità di realizzare una linea tranviaria a servire da nord a sud il territorio attraverso l’abitato.
- Che la Ridgewood Avenue con il prolungamento proposto venga concepita come parte integrante del percorso di diciotto chilometri Circuit Drive tra Montclair e Glen Hidge.
- Che si chieda alla Essex County Park Commission di progettare e realizzate quanto prima una parkway di collegamento tra le arterie principali di Glen Ridge e il sistema di parchi di Contea.
- Che si studi l’intero sistema di viali e strade nell’interesse degli abitanti Glen Ridge e dei futuri sviluppi residenziali della zona.
- Che si considerino nuovi regolamenti edilizi e norme urbanistiche allo scopo di promuovere salute, conservare l’omogeneità dei quartieri, tutelare i valori immobiliari; si chieda ai proprietari di collaborare accettando vincoli.
- Che la Commissione del Verde di cui si chiede l’istituzione studi anche un metodo efficiente di piantumazione e gestione delle alberature stradali.
- Che le superfici già acquisite dalla municipalità da adibire a parco o campi da gioco, vengano al più presto possibile completate e attrezzate all’uso, con progetti di laghetto pattinaggio spazi per la ginnastica.
- Che si affidi a ente competente lo studio di un sistema di spazi scolastici, cortili, giardini, verde e campi da gioco, per la popolazione attuale e in previsione delle necessità future.
Raccomandazioni che non sono rimaste sulla carta. Presentate ufficialmente solo un anno fa, già vedono tutte parecchi progressi nell’attuazione, e la metà, sei su dodici, le più importanti, hanno trovato realizzazione completa. Glen Ridge è già molto diversa da tante altre cittadine, si distingue, è consapevole dei propri caratteri. Si è ragionato sull’organizzazione stradale e degli spazi pubblici, si riflette sugli ideali e sui bisogni della collettività. Seguendo con costanza ciò che di meglio è avvenuto in passato, il piano promuove maggiore consapevolezza nei cittadini su cosa possa significare abitare un territorio, ed evitare eccessi ed errori dell’agire a caso, assicurando migliori risultati del programma per il futuro, tutto ciò che personalmente considero una grande potenzialità della pianificazione urbanistica per villaggi e piccoli centri. E del resto basta confrontare tutto questo coi risultati dell’inazione, o di un agire incostante, in tanti centri anche maggiori, e anche dove ci sono stati piani generali ma mal realizzati.
Per concludere, vorrei ricordare quanto sia stupefacente che nelle città americane si continuino a ripetere i medesimi errori urbanistici. Vediamo ovunque sbagliare e allontanarsi stupidamente e costosamente dalle migliori e riconosciute pratiche. Le amministrazioni paiono inerti. Se non fosse così, potremmo salvare i piccoli centri con preveggenza e competenza dai tanti sbagli compiuti nelle grandi città. Scriveva decenni or sono Frederick Law Olmsted, Sr.: «Difficile porre rimedio a un cattivo progetto già realizzato, e quindi una volta capito il problema a cui ci troviamo di fronte, l’errore possiamo prevenirlo pensando adeguatamente la città. Però è davvero strano che qui nel Nuovo Mondo, dove nascono ovunque nuove grandi città, non si badi per nulla ad evitare cattivi progetti. Nessuno dei più rozzi pagani a cui abbiamo invito i nostri missionari ha mai dimostrato maggiore indifferenza alle sofferenze del prossimo, di quella esibita in certi progetti per le nostre città».
da: Social Service Bulletin, n. 16, 1911, Relazione al Convegno annuale della American Civic Association, Washington D.C. Titolo originale: Comprehensive Planning for Small Towns and Villages – Traduzione di Fabrizio Bottini
Immagini: John Nolen, Glen Ridge: the preservation of its natural beauty and its improvement as a place of residence, opuscolo, New Jersey 1909; scansione a colori Cornell University Nolen Papers