Cosa significa pensare globalmente ma agire localmente? In fondo sembrerebbe la cosa più logica del mondo per esseri dotati di intelligenza diciamo media, e conoscenze accumulate e disponibili: queste conoscenze producono delle sintesi, dei principi generali più o meno elastici, che costituiscono la parte «globale» della riflessione e del riferimento; poi si tratta di adattare ed eventualmente modificare in certa misura quei riferimenti, quando li si confronta con un contesto specifico. Facile: ho globalmente imparato a disinfettarmi e mettermi un cerotto, ma ovviamente so praticare la medicazione localmente sia in vari punti del corpo, sia per vari tipi di ferite e abrasioni, sia in posti dove ho disponibili medicamenti di varia qualità. Fin qui la teoria, ma poi comincia la pratica e sono dolori, perché entra in campo la confusione: dove comincia e dove finisce il globale, e dove invece il locale? Nelle intricate faccende urbane e urbanistiche, il mondo trabocca di casi del genere, perché sono in troppi a ritenersi portatori di principi globali da adattare localmente, mentre invece stanno facendo l’esatto contrario, ovvero replicano in un contesto del tutto diverso la loro cultura tutta localista.
Le fotocopie urbane sbiadite
Ragionare sulla città e in genere l’insediamento umano seguendo la logica del globale e locale, dovrebbe procedere secondo criteri certamente complessi, ma abbastanza schematici: costruirsi un vero modello universale di riferimento; affiancarlo in modo ragionato con casi esemplari osservati in quanto tali (cioè al netto dei localismi vari); unire esperienze di regole particolari sempre considerandole tali e con un occhio ai contesti in cui sono nate; ripartire dalle particolarità specifiche, urbane territoriali, ambientali, e soprattutto socioeconomiche e politiche, perché sta lì il nodo delle decisioni e delle trasformazioni. Invece per farla breve di solito si prende qualcosa che ha funzionato in un posto, e lo si riproduce paro paro in un altro posto, dove la situazione è diversissima, e quel modello al massimo avrà vita finché permane il regime autoritario che l’ha promosso e lo mantiene artificialmente in vita. Caratteristico il destino di certi quartieri coloniali costruiti per la classe dirigente di importazione, e che poi dopo le liberazioni nazionali o decadono rapidissimamente, o mantengono il proprio ruolo di incistamenti surreali nella grande città, solo grazie ad altre e diverse forme di respirazione a ossigeno, la finanza, i militari, ceti locali privilegiati e staccati dal resto della società.
Quali sono i principi generali condivisibili
Un destino che ad esempio ha accompagnato i principi generali del razionalismo urbanistico, di fatto maturati in una certa cultura e fase storica del centro Europa, e poi fissati in regole ripetibili dal movimento dei CIAM. In realtà, di quelle regole ha poi finito per applicarsi localmente una interpretazione che definire superficiale è poco: puri formalismi architettonici, geometrismi estetizzanti, spazi del tutto decontestualizzati e calati dall’alto in luoghi e società completamente diversi da quelli in cui erano maturate le regole, che evidentemente non riuscivano ad affermarsi in quanto tali, ma solo come pallide fotocopie mal interpretate. Si sono così riprodotte infinite orribili periferie, fatte di alloggi per modelli familiari teorici, spazi pubblici percepiti come ostili, organizzazioni stradali e rapporti pieni/vuoti guardati come un pianeta alieno da chi era obbligato a chiamare casa quelle montagne di cemento. Poi, verificato il disastro, si è ovviamente cercato di rimediare, riflettere su cosa significhi sul serio elaborare principi e applicarli nei contesti territoriali locali, rispettandoli come si deve e rispondendo a bisogni veri. Ultimo nato di questa riflessione assolutamente work in progress, è il documento di linee guida appena approvato dall’organismo responsabile delle città e del territorio dell’ONU. Ovviamente di strada ce n’è ancora parecchia da fare, ma tocca proseguire, nel nostro secolo dell’urbanizzazione incombente, che piaccia o no.
Riferimenti:
UN-Habitat, Le Linee Guida Internazionali per la Pianificazione Urbana e Territoriale (comunicato stampa)