Il trauma della densità e frequenza di relazioni e stimoli, ovviamente è tale solo per chi, singolo o gruppo, a quella quantità e qualità di relazioni e stimoli non è affatto abituato. Chi ci è nato e cresciuto dentro, al massimo può reagire bene, male, con indifferenza, controllo, partecipazione, ma certamente non con quella che si definisce reazione traumatica, spaesamento, riflesso condizionato di rifiuto. Per questo il termine blasé, quell’atteggiamento privo di reazioni «istintive» agli stimoli della metropoli, mal si presta a certe interpretazioni piuttosto riduttive che lo equiparano a una specie di indifferenza artificiosamente costruita, per proteggersi dagli eccessi di carico dell’esperienza urbana, uno schermo tra sé e le atmosfere e accadimenti circostanti. Ma a quanto pare, ancora a distanza di parecchie generazioni da quando, con la rivoluzione industriale, nasce questo tipo di ambiente tanto diverso da quello rustico o veterourbano, l’approccio più conservatore non può fare a meno di distinguere tra un bene e un male, dove naturalmente il primo sta nella condizione campagnola semplice e primigenia, mentre il secondo deriva dall’inevitabile corruzione della metropoli meretrice. Una stupidaggine naturalmente, ma se pensiamo che infinite sfumature della medesima pensata sono alla base di un secolo e passa di spinta alla suburbanizzazione, forse sarà meglio inquadrare con più chiarezza il problema.
L’istinto va bene come spunto
Quando leggiamo in certi gialli (prodotto squisitamente metropolitano, le indagini campagnole sono il paradiso della noia anche nel caso di delitti efferati) che il detective si «lascia guidare dall’istinto» sappiamo molto bene cosa vuole suggerirci l’autore. Non certo che per risolvere l’intricata vicenda, magari al punto chiave, ci si debba abbandonare ad atteggiamenti animaleschi e riflessi condizionati, ma solo e semplicemente che vanno abbandonati per un istante schemi mentali e costruzioni logiche rivelatisi sino a quel momento infruttuosi. In altre parole, l’ambiente urbano è così ricco di stimoli e suggestioni da portare a certi eccessi di filtro interpretativo, potenzialmente fuorvianti per trovare qualcosa di preciso, ed è il caso di lasciar fluire tutto liberamente. Salvo poi ricominciare a gestirlo nel ragionamento deduttivo che in qualche modo conclude sempre la trama, e che aveva portato alla soluzione dell’enigma. Sta probabilmente tutta nella gestione di questo continuo interscambio fra aspetti istintivi e più mediatamente razionali, questa vera e propria contrapposizione fra città e campagna sul versante dell’idea di comunità, relazioni, egoismo o solidarietà, e non certo come pensano certi reazionari di tutti i tempi nella spietata freddezza dell’urbanità contro la pietas spontanea che caratterizzerebbe la cultura contadina e lo spirito di villaggio.
Samaritani postmoderni
Il reverendo Eric O. Jacobsen, a suo tempo membro del direttivo New Urbanism, ne «I Marciapiedi del Cielo» descrive molto efficacemente come in ambiente urbano o addirittura fortemente automobilistico possa dispiegarsi perfettamente, pur in forme mutate, il medesimo spirito solidale che il pensiero conservatore non riesce a vedere se non declinato nella spontaneità rurale e familiare. Lo fa nello stile del predicatore, raccontando un paio di sue «parabole urbane» dedicate al commercio locale, e ai guasti alla macchina un autostrada. La differenza non da poco, col classico modello Samaritano/Viandante, è che c’è sempre di mezzo il filtro spaziale, relazionale, di complessità della metropoli, che richiede certe mediazioni, scelte, diciamo pure discriminazioni. Perché nello spazio della città, anche il bisogno si presenta agli occhi come «falso profeta», tutto da interpretare ed eventualmente giudicare, e allora ben vengano chiare regole, promemoria pubblici e istituzionali, contenitori fisici e comportamentali adeguati a gestire gli infiniti casi e varianti. Per questo sono del tutto fuorvianti, ad esempio, quei filmati che «denunciano l’indifferenza dei passanti» perché qualcuno cade per terra nella stazione della metropolitana, o le storie di solitudine e abbandono di anziani che muoiono in casa, ritrovati solo dopo tanto tempo. L’interpretazione classica, è che urbanità sia razionale spietatezza, contro il sano istinto semi-animale che ci tiriamo appresso dal nostro recente passato contadino. Stupidaggini, da cui guardarsi con cura.
Riferimenti:
Urban Alienation, The Peninsula (Qatar), 22 settembre 2017
In questo sito anche la recensione al libro citato di Eric O. Jacobsen, La Classe Urbanistica va in Paradiso