Venezia è una città che funziona, e una delle poche al mondo che, nonostante ciò, riesce a farlo senza i veicoli a motore. Così, si è deciso di prenderla in esame, per vedere quali lezioni ci può insegnare. Una città di circa 140.000 persone [all’epoca in cui fu scritto il Rapporto, ovviamente, oggi sono circa un terzo n.d.t. ] su un gruppo di isole nella Laguna di Venezia. È collegata da un percorso rialzato, che comprende sia la strada che la ferrovia, alla terraferma di Mestre, con un’area industrializzata di notevoli dimensioni in cui molti residenti di Venezia trovano impiego. Così, non è del tutto corretto dire che Venezia è una comunità autosufficiente che non dipende dal traffico motorizzato. Le merci, i visitatori, i pendolari, entrano ed escono dalla città attraverso la strada e la ferrovia. Allo stesso tempo, strada e ferrovia sono strettamente limitate entro terminali sulla frangia nord-occidentale dell’isola, e tutto il sistema di distribuzione da e per questi terminali, e tutta la vita attiva della città (con uno dei più grandi sistemi commerciali turistici del mondo), si sviluppa senza veicoli motorizzati su ruote. Non è, ovviamente, fatto del tutto senza veicoli a motore, dato che una grande quantità degli spostamenti di merci e persone è gestita da imbarcazioni a motore sui canali.
Venezia dimostra, nei fatti, di essere un esempio estremamente interessante di network and environmental area system, reso chiaro in maniera cristallina dal fatto che il sistema distributivo consiste di canali anziché di strade. Il distributore primario è il Canal Grande – un’arteria principale, lunga tre chilometri e con una larghezza variabile da 35 a 40 metri. La scarsa profondità dell’acqua e il ristretto margine di altezza offerto dai ponti pongono un limite al tipo di veicoli, e le velocità sono ufficialmente contenute a dieci chilometri l’ora. Sul Canal Grande operano i servizi urbani di trasporto passeggeri. L’ampia larghezza e il basso volume e velocità di traffico rendono possibile mescolare le funzioni, e così questo distributore è utilizzato sia per il movimento che per l’accesso diretto ad alcuni edifici. Il Canal Grande dà accesso ad altri 45 chilometri di vie d’acqua, che possono essere descritte come district distributors (utilizzabili dai veicoli del trasporto passeggeri pubblico urbano) che dividono la città in 14 zone, e a una rete più ramificata di stretti local distributors. [i termini in inglese sono lasciati tali in quanto classificazioni tecniche specifiche dell’Autore, n.d.t.]
Dunque c’è una chiaro sistema gerarchico di distributori per il traffico veicolare. In più c’è un altro sistema, interamente separato, estremamente complesso, e continuativamente collegato, di percorsi e vicoli pedonali, con una lunghezza totale di circa 140 chilometri. I percorsi sono punteggiati a intervalli da piazze, attorno alle quali si raggruppa ciascuna sezione della città. Le piazza sono, ancora, i luoghi principali di incontro pubblico, attività, scambi e commerci. Lungo questa rete di percorsi si crea uno splendido ambiente urbano pedonale. La continuità della rete è realizzata, naturalmente, solo attraverso un immenso numero di “sovrappassi pedonali”, o per dirla semplicemente di ponti sui canali. Ci sono, comunque, solo tre ponti sul Canal Grande, e questo costituisce un inconveniente considerevole per i movimenti pedonali. Nonostante i canali siano notevolmente penetranti fra i fitti gruppi di edifici, consentendo alle merci di essere trasportate molto vicino alla destinazione, c’è anche un uso considerevole dei percorsi a piedi nelle consegne, a mano e con uso di carrelli.
Il sistema di comunicazioni a Venezia offre una sicurezza quasi completa per i pedoni. Non c’è particolare disturbo da rumore, ma i fumi di scarico dai motori delle imbarcazioni possono essere sgradevoli. Non c’è intrusione visiva dei veicoli nell’ambiente pedonale, e anche lungo i distributori stessi le imbarcazioni, al contrario dei veicoli su ruote, migliorano anziché peggiorare la vista. Per quanto riguarda l’accessibilità, la maggior parte delle piazze (o centri di commercio) sono servite dai percorsi dei trasporti pubblici a distanze comparabili a quelle pianificate in questo paese, ma per la maggior parte delle persone la distanza da percorrere a piedi da casa al percorso del servizio pubblico è maggiore di quella che sarebbe accettata in un sistema tradizionale servito da veicoli su ruote. Ci devono essere anche considerevoli difficoltà nel servire edifici in costruzione, traslochi, funerali, spegnimento di incendi, rimozione rifiuti e consegna della posta. Nondimeno, la città indubbiamente funziona, e ragionevolmente bene se è per questo, senza lo stress e tensioni indotti dai veicoli a motore operanti sulle strade tradizionali. Ma l’immagine che abbiamo tratteggiato è indubbiamente influenzata anche dal fatto che la proprietà privata di imbarcazioni è scarsa: situazioni dove ogni famiglia facesse uso quotidiano di un veicolo a propulsione meccanica, anche se fosse una barca, sarebbero ovviamente meno desiderabili.
La lezione più importante di Venezia non è che una grande città possa fare a meno di veicoli su ruote a motore – non vogliamo certo proporre la trasformazione di tutte le strade in canali – ma che è possibile sviluppare un sistema interdipendente di percorsi veicolari e pedonali, con completa separazione fisica tra i due – così completa che non sembrano neppure appartenere allo stesso ordine – e che la cosa funziona.
Da: Traffic in Towns. A study of the long term problems of traffic in urban areas . Reports of the Steering Group appointed by the Minister of Transport, Her Majesty’s Stationery Office, London 1963 – Questo breve estratto l’avevo scoperto quasi per caso e tradotto per la vecchia versione di Eddyburg, sito particolarmente interessato alla città lagunare, una quindicina di anni fa, ma mi pare sufficientemente interessante per riproporlo qui sulla Città Conquistatrice oggi, quando il dibattito sulla mobilità dolce è sempre più attuale (f.b.)