Vita urbana (1937)

cityplanning_1925Con l’istituzione di una Sottocommissione per le questioni Urbane all’interno della Commissione Nazionale per le Risorse, sembra che per la prima volta nella storia del nostro paese si riconosca il fatto che le città rappresentano un fattore importante della vita sociale. Hanno assunto una funzione centrale nella vita delle persone e nelle attività di governo, così da non poter più essere ragionevolmente lasciate fuori dalla considerazione dei problemi nazionali. Pare particolarmente importante considerare le città nella programmazione, perché i pianificatori tendono a porre l’enfasi caratteristicamente sul territorio e le strutture fisiche. Ma la crescita del fenomeno urbano rende assai più complesso il rapporto fra l’uomo e il suo spazio, così che i problemi attuali della vita sociale comprendono sempre più il rapporto pur indiretto tra qualità della vita e risorse naturali.

Nella nostra epoca moderna le difficoltà di adeguamento sociale si spiegano sempre meno in termini di rapporto fra esseri umani e risorse, e ci si deve invece confrontare coi modelli di vita sviluppati in fasi precedenti: ad esempio con le tecnologie, i comportamenti, atteggiamenti e idee, costumi, norme, leggi, strutture sociali, in altre parole con le reti dell’esistenza collettiva prodotte dagli sviluppi storici. Oggi chi pianifica non si confronta più col semplice obiettivo di mettere in rapporto l’uomo con un habitat naturale, ma come in fondo avviene da sempre di adeguare un essere umano all’altro modificando e orientando un complesso insieme di fattori, di cui fa parte anche l’ambiente fisico. Certo lo spazio, il territorio, resta importante, ma non possiamo più efficacemente rapportarci ad esso in modo diretto e indipendente.

Per rapportarci ad esso, o per usarlo come strumento a migliorare il benessere umano, non possiamo evitare il complesso sistema di sovrastrutture tecnologiche e sociali attraverso le quali esso si è modificato, e che ne condizionano o vincolano il nostro uso. Può apparire strano a qualcuno, che le attività di governo, le istituzioni, la raccolta di dati e le attività di ricerca, abbiano posto tanta attenzione sull’agricoltura e la vita rurale, e così poca invece su quella urbana e la città. Ciò si deve almeno in parte al fatto che se esiste un interesse per la vita di campagna parallelo all’attività agricola, non succede certo così con quella industriale, come si era ingenuamente presupposto. Certo la città si caratterizza come laboratorio industriale dell’umanità, ma gli interessi dei cittadini non si esauriscono in alcun modo con quelli dell’industria e del commercio.

Perché si sono trascurate le questioni urbane

Un aspetto storico che può spiegare la nostra relativa mancanza di consapevolezza, rispetto al significato delle città, è che gli Stati Uniti si sono urbanizzati piuttosto di recente. Alla sua nascita e alla formazione del quadro istituzionale, il paese era del tutto privo di centri urbani che arrivassero anche solo a 50.000 abitanti; fino al 1820 non poteva ancora vantare una singola città che raggiungesse e superasse le centomila persone, e si dovette aspettare il 1880 per averne una da un milione di abitanti. Ancora nel 1870, il 52,8% dei lavoratori americani erano occupati in agricoltura, e quasi alle soglie della prima guerra mondiale eravamo considerati un paese produttore di alimenti e materie prime per il mercato mondiale. Il passaggio da questo stadio di economia primaria e agricola verso la più complessa e avanzata società industriale è così recente, che ci è voluto e ci vorrà un po’ di tempo, prima che si riconoscano le nuove basi su cui fondare la convivenza nazionale, l’organizzazione delle forme di governo, le prospettive di osservazione. La depressione economica in qualche modo ci ha scosso, rendendoci più consapevoli di questa nuova condizione urbana e industriale.

Anche a parte una industrializzazione e urbanizzazione recente, è stata l’enorme rapidità con cui sono avvenute a lasciare una impronta sulla vita contemporanea, a far sì che non si sia prestata la dovuta attenzione agli aspetti urbani della questione nazionale. Il 56,2% della nostra popolazione abita in zone urbane, quasi il 30% in città con oltre 100.000 abitanti, quasi la metà vuoi dentro vuoi molto vicino a questi centri di oltre centomila persone per quanto riguarda tutti gli aspetti della vita. Al 1930 solo il 21,3% dei lavoratori americani erano occupati in agricoltura, e la stragrande maggioranza fa invece riferimento a comunità urbanizzate e industrializzate. Se i paesi europei baciati dal magico influsso della tecnologia moderna sono giunti all’attuale condizione urbana in modo graduale, attraverso un periodo di parecchi secoli, il nostro ha fatto un balzo dalla condizione dell’agricoltura di frontiera all’urbanizzazione matura nell’arco di pochi decenni. Una velocità di cambiamento che non ha precedenti nei modi di vita e lavoro, e che contribuisce a spiegare i nostri incredibili problemi, la spaventosa confusione, l’ignoranza e una certa sconsiderata apatia nell’affrontarli.

La Nuova Frontiera americana

È improvvisamente scomparsa quella frontiera geografica che nella storia nazionale si collocava all’Ovest: la nuova frontiera americana oggi è nelle città, è lì che si tessono le principali trasformazioni della nostra esistenza, ed è da lì che esse si riverberano sul resto del paese. Non si tratta solo di chi abita fisicamente all’interno dei confini ufficialmente municipalizzati, e che vede il proprio stile di vita determinato dalla civiltà urbana, ma a anche di coloro che si collocano oltre i limiti della città. Essa è divenuta l’elemento dominante della vita nazionale, simbolo di civiltà moderna, strumento principale attraverso il quale si plasma e rinnova l’esistenza dell’umanità.

Inferenze e interpretazioni che possiamo trarre da ciò che ci dicono le città, si devono orientare in due direzioni principali. In primo luogo è importante riconoscere come la maggior parte dei dati esistenti forniscono una immagine, come se le condizioni di vita urbana prevalenti si arrestassero di colpo ai confini. Forse non c’è nessun bisogno di elaborate argomentazioni per capire che non è così. Specie nelle città più grandi, è evidente come ad esempio una grossa proporzione degli abitanti effettivi non siano quelli «notturni» calcolati dal censimento, ma quelli «diurni» che vanno a dormire nel suburbio o nei nuclei satellite, socialmente ed economicamente integrati alla metropoli, nonostante siano amministrativamente una cosa distinta. L’apparente perdita di popolazione dei grandi centri a favore del suburbio alla loro periferia, è solo un segno di come le città crescano, svuotando di abitanti le aree più centrali. Così al decrescere delle utenze telefoniche residenziali di Manhattan aumenta la massa di quelle suburbane. Quindi sarebbe leggere in modo sbagliato la città, interpretare solo ciò che accade entro i confini amministrativi, e non in quelli economici e sociali.

La seconda cosa importante, è di tener conto delle enormi differenze di livelli di vita, sia all’interno delle città, sia tra le varie città. Le 3.165 circoscrizioni urbane individuate dal censimento negli Stati Uniti, non sono ovviamente tutte uguali. Ci sono poche cose generalizzabili, che restituiscono una certa uniformità. Le città sono diverse l’una dall’altra, e non solo per le dimensioni (dai 2.500 abitanti a svariati milioni, o da pochi isolati a molti chilometri quadrati di territorio) ma anche per la composizione di età, tasso di crescita, posizione geografica, funzioni, e poi innumerevoli aspetti demografici, economici, istituzionali, culturali.

E così, anche se le città americane tendenzialmente ricalcano una caratteristica struttura interna così come abbiamo già descritto nel rapporto per la Sottocommissione agli affari Urbani, esistono enormi differenze di qualità della vita nei vari quartieri della città. A ben vedere è proprio uno dei caratteri peculiari dell’ambiente urbano, quello di mostrare così ampie varianti e vistosi contrasti. Nonostante le evidenti differenze tra le città e al loro interno fra le parti componenti, esistono altre differenze chiaramente visibili tra gli stili di vita urbano e rurale, che si esprimono in termini tecnologici, economici, di organizzazione sociale e istituzionale, nei problemi sociali, nelle personalità. Storicamente, città e campagna rappresentano stadi diversi dello sviluppo della civiltà; contemporaneamente, sono anche due poli di vita sociale.

Caratteristiche demografiche dei centri urbani

La vita urbana è condizionata dalle caratteristiche della popolazione. Le città sono abitate da una quota più ampia di persone adulte, mentre le campagne hanno percentuali più elevate di anziani e bambini. Le donne superano gli uomini in città, in genere, nonostante nei centri più grandi ci sia stato l’influsso di una forte immigrazione dall’estero, le città industriali e quelle di frontiera all’Ovest sono delle eccezioni. I centri urbani sono sempre stati considerati dei crogioli di razze e culture, e si può prevedere che anche le città americane possano svolgere questa funzione, e farlo a livello straordinario. Non ci sono solo immigrati europei, ma negli ultimi decenni anche moltissimi neri si sono spostati verso la città, conferendole quello straordinario carattere etnicamente eterogeneo.

Si è sempre ritenuto che le città consumassero la manodopera prodotta dalle campagne. Uno dei fatti che  più colpisce della popolazione urbana è l’incapacità di riprodursi. Nonostante si siano notevolmente ridotti gli enormi tassi di mortalità di prima della rivoluzione industriale, nonostante l’introduzione di migliori sistemi fognari, idrici, alimentari, le città per conservare o incrementare la propria popolazione devono attingere dalle zone rurali. Le donne urbane, sia native, sia immigrate dall’estero, bianche o nere, hanno meno bambini di quelle delle zone rurali, e più grande è la città più basso il tasso di riproduzione. Così coloro che vedono una virtù nelle quantità crescenti, si allarmano, specie verificando come si stiano diffondendo stili di vita urbani tra le popolazioni rurali. Mentre per i pianificatori potrebbe trattarsi di una notizia positiva, perché così si confronterebbero con quantità più stabili.

Il tasso di riproduzione inferiore urbano, indica come la città non favorisca il tipo di vita familiare tradizionale. Industrializzazione, istruzione, precarietà, aspirazioni a un miglior livello di vita, il sovraffolamento delle strutture abitative urbane, sono fra i motivi che scoraggiano i matrimoni e l’avere figli, oltre a indurre disagio familiare. Madri che probabilmente lavorano, inquilini che fanno parte della famiglia, le funzioni che tradizionalmente appartengono al nucleo familiare sono delegate al di fuori di esso, e ciascun componente è portato a condurre una vita propria. Da questo punto di vista la vita suburbana assomiglia molto di più di quella della città alle zone rurali.

Solo per citare un caso di necessaria cautela nel generalizzare quando si tratta di città, vorrei parlare di sanità. Negli ultimi anni le città hanno rapidamente migliorato infrastrutture e servizi. Dal 1929 il tasso urbano di mortalità è sceso al di sotto di quello rurale. Ciò si deve ai controlli relativi a influenza, morbillo, malaria, dissenteria, anche se restano ancora al di sopra delle zone rurali le morti per malattie veneree, tubercolosi, epidemia varie, alcolismo, tossicodipendenza, disfunzioni del cuore, suicidi. Le città di norma non solo forniscono migliori cure mediche private, ma investono molto di più in strutture sanitarie pubbliche di quanto non avvenga nelle zone rurali. Nonostante ciò, con l’attuale distribuzione del reddito la gran maggioranza della popolazione, sia urbana che rurale, non può accedere ai servizi, e non è in grado di sostenere individualmente gli oneri finanziari di una malattia. Il rischio materiale a cui una zona cittadina espone la sua popolazione, insieme al fatto che la malattia non rispetta nessuno, rende più che mai urgente una maggiore «democratizzazione» dei servizi urbani.

Quanto si è detto sulla salute, vale egualmente per l’istruzione, i servizi pubblici, il tempo libero, o altri aspetti della vita urbana. Di norma le città, in generale, sono diverse dalle campagne, ma spesso esistono maggiori differenze tra città di dimensioni e tipologia varie, che fra città e campagna. In modo analogo, i vari quartieri di una città possono essere più diversificati di quanto avvenga tra i centri urbani. Nessun tipo di fenomeno generale o problema, dalla salute, alla sicurezza, ai servizi, può essere considerato e comparato in quanto tale esattamente. In ciascun caso occorre disaggregare per piccole unità, prima di fare qualunque analisi.

Lavoro e reddito

Oggi la grande città si poggia su una base tecnologica, in cui ferro e vapore svolgono un ruolo dominante. A questa base tecnologica corrisponde un sistema economico di libera impresa caratterizzato essenzialmente da concorrenza, speculazione, credito. La forza di concentrazione del vapore ha spinto verso grandi aggregazioni di lavoratori dentro a giganteschi impianti industriali, realizzati dalle imprese. Una tendenza che non è stata affatto mitigata molto in seguito dalla forza potenzialmente dispersiva dell’energia elettrica. L’occasione economica creata dall’insediamento industriale e commerciale, funge da calamita per attirare giovani lavoratori, da zone vicine o lontane. La minuta divisione del lavoro che si accompagna a questa sostituzione della più semplice società tradizionale, comporta sempre più acute differenze di mansioni, reddito, condizione.

In generale esiste uno quota maggiore della popolazione adulta occupata, di quanto non avvenga nelle zone rurali. Ciò vale sia per gli uomini che per le donne, non per i bambini. Il fatto che si tratti di caratteri tipici della vita urbana contemporanea, è confermato dalle proporzioni crescenti man mano aumenta la dimensione della città. Il ceto impiegatizio, inteso come lavoratori del commercio, nell’amministrazione, nelle professioni, è proporzionalmente più numeroso nei grandi centri e in quelli metropolitani. Se la città offre un più ampio raggio di occasioni, si indebolisce però la sicurezza economica, accorciando l’arco di vita lavorativa, e scoraggiando il lavoro autonomo.

I redditi in media sono superiori a quelli delle campagne, e più grande la città, maggiore quello pro capite, ma al crescere dell’industrializzazione diminuisce invece il reddito. Non esiste un rapporto diretto valutabile fra dimensioni urbane e costo della vita, anche se pare alzarsi nei centri maggiori. Più rara e costosa in città che in campagna, la proprietà dell’abitazione, e il medesimo rapporto si replica fra città grande e città più piccola. Affitti più cari, e che assorbono una quota maggiore del reddito familiare man mano crescono le dimensioni della città. Le famiglie urbane spendono quote maggiori per abbigliamento, divertimenti, miglioramenti, e meno invece per cibo, rispetto a quelle rurali con reddito analogo. Se chi abita in città ha il vantaggio di molti servizi comuni, che l’abitante delle campagne deve organizzarsi da solo, o farne a meno, ha però meno margini su cui contare in caso di problemi personali o crisi economica.

L’individuo e la città

La vita urbana comporta un maggior grado di interdipendenza tra le persone, una più delicata e complessa rete di relazioni, tecniche e sociali, da cui dipende il funzionamento fluido di tutto il complesso apparato, rispetto a quanto avviene nell’ambiente rurale. Inoltre, visto che i legami di amicizia, parentela, vicinato, sono spesso ridotti a qualcosa di molto tenue, il cittadino deve contare molto vuoi sulla sua disponibilità economica, vuoi sui servizi cittadini organizzati, per la propria sicurezza e benessere. L’individuo in città è costretto a vivere una situazione complessa e precaria, in molte situazioni di cui gli sfugge il controllo. Ridotto a una condizione di estrema debolezza in quanto persona, si vede costretto a unirsi ad altri di simili interessi, a formare gruppi di pressione per ottenere risultati. Ne deriva una enorme crescita delle organizzazioni volontarie, per una grande varietà di fini, tanti quanti sono i bisogni e i desideri umani. La nascita e sviluppo di una serie di servizi, privati e istituzionali, negli ambiti della salute, sicurezza, istruzione, religiosi, tempo libero, cultura e benessere, stimolati dall’ambiente della città, rispecchia la ricchezza di risorse dell’essere umano di fronte ai problemi che ha creato l’evoluzione della nostra civiltà. Molte questioni della vita urbana restano irrisolte, e altre se ne profilano alla nostra consapevolezza nazionale: nessuna di esse può essere risolta da un approccio specialistico, anche quando ci si definisce pianificatori.

Il vistoso contrasto fra ricchezza e povertà, insieme all’interesse economico che stimola e sfrutta orientamenti, gusti, bisogni, la grande eterogeneità e mobilità della popolazione, i legami ridotti al minimo di famiglia e vicinato, meccanizzazione e atomizzazione dell’esistenza, ritmi accelerati ed elevata tensione nella vita e nel lavoro urbano, la grande precarietà economica che domina la città, provocano diffusi problemi di adattamento. Disagio personale, disordine psicologico, suicidi, delinquenza, reati, corruzione, tutto ciò pare si possa considerare tipico del mondo urbano. E c’è addirittura da stupirsi che non sia anche più diffuso.

Contatti formali ravvicinati e frequenti, ma insieme maggiori distanze sociali e relazioni impersonali, possono produrre solitudine, deresponsabilizzazione, indifferenza e sfruttamento reciproco. Ma generano anche iniziative, razionalità, tante occasioni, l’emanciparsi dalla tradizione, inventiva, larghezza di vedute, libertà. La città offre tantissime occasioni, stimola il talento e la creatività, induce cambiamento e di fronte al bisogno offre un incentivo a organizzarsi, all’agire collettivo, al controllo sociale su larga scala. Il cittadino di norma non abita dove lavora, né possiede il luogo dove vive: la proprietà è quasi inaccessibile. Lavoratori e datori di lavoro abitano mondi diversi e separati, fisicamente e socialmente, e chi vive gomito a gomito spesso non ha altro in comune con gli altri se non la medesima situazione economica. Uomini che non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro né responsabilità reciproche né lealtà. Le masse si muovono in base e simboli e stereotipi anziché cose reali, simboli manovrati da mani esperte, che operano a distanza e dietro la scena.

Evoluzione della vita urbana

L’esistenza urbana così, come abbiamo visto, si è evoluta nel nostro paese, e ancora si evolve secondo tre fasi di un ciclo ancora da completare. Prima lo sradicamento del migrante rurale dalle sue relazioni e tradizioni popolari, atomizzandone la vita. Si riduce così il controllo sociale sino a forme elementari, in cui grandi masse eterogenee sono tenute insieme solo dalla divisione del lavoro, dalla complessità tecnologica, dalla concorrenza spietata e da qualche manipolabile slogan. Ma basta da sola la complicazione della vita urbana, gli interessi simili, così come simili sono i rischi e i pericoli, o le crisi comuni, a fondere la popolazione urbana in una nuova comunità di cui emergono obiettivi, programmi, orientamenti intellettuali. Qualche animo debole, per non dire personalità debole, romantico, pare così turbato dai gravi problemi dell’esistenza urbana da cercare la fuga, o invocare la distruzione. Ma la fuga è possibile solo a pochi, e solo parziale e temporanea, dato che l’attrazione della città, i suoi vantaggi culturali, la rendono praticamente irresistibile.

Anche ammettendo che qualcuno possa trovar rifugio in qualche idillio pastorale o ambiente «rural-urbano», e considerando che le nostre città, specie le grandi e le metropolitane, potrebbero fare tanto tanto di più in termini di abitabilità ed economia, pare davvero sterile utopismo pensare che si possa migliorare l’esistenza umana eliminandole, le città. Senza di esse, non potremmo mai sperare di godere dei tanti agognati vantaggi che abbiamo imparato a considerare ingredienti essenziali della vita civile moderna. È invece urgente e necessario un programma di dimensioni nazionali, nell’interesse dei milioni di persone che vivono e lavorano nelle città, per farne luoghi più abitabili, posti migliori per lavorare, centri culturali, più efficaci per l’economia. Per questi obiettivi, l’urbanistica ha un ruolo di primo piano.

da: AA.VV. New Horizons in Planning, American Society of Planning Officials, Chicago 1937 – Titolo originale: The Urban Mode of Life – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Immagine di copertina da City Planning aprile 1925

 

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