Camminare. Attraverso quest’azione l’uomo ha cominciato a costruire e a cambiare il paesaggio intorno a lui, è da qui che discende l’urbanistica. Oggi, camminando nella città, l’uomo interpreta e categorizza i paesaggi urbani che lo circondano, i cosiddetti «Walkscapes» di Francesco Careri, termine illuminante e titolo di un libro nel quale questi paesaggi si materializzano in «zonzo», la città del perdersi e del vagare in cerca dell’altrove. Girovagare quindi è una forma autonoma d’arte, un’anticamera dei futuri interventi urbani volti a trasformare gli spazi della città contemporanea. Il viandante osservatore in uno spazio non mappato costruisce istante per istante la sua mappa, le sue percezioni lo aiutano a nominare e ad individuare questi punti nel vuoto, modificando il significato dello spazio e trasformandolo in un luogo, «camminare, dunque, produce luoghi» (Careri, 2006).
Progettazione e walkscapes di qualità
Ma il paesaggio urbano e le percezioni sensoriali dell’uomo che lo attraversa erano già alla base dell’urbanistica novecentesca: «la gente osserva la città mentre si muove lungo di essa», scriveva Kevin Lynch, dipingendo «l’immagine della città» come la sovrapposizione delle immagini individuali dei diversi osservatori che la attraversano e ponendo tra gli elementi urbani predominanti proprio i «percorsi». Lynch prova che l’osservatore che si muove abitualmente lungo dei canali, o percorsi, tende ad averne un immagine chiara e forte solo in presenza di alcuni particolari, come facciate, pavimentazione, vegetazione: «là dove i percorsi principali mancavano di identità, o erano facilmente confusi uno con l’altro, l’intera immagine urbana era in crisi» (Lynch, 1964). La città si costruisce quindi con empatia e, perché no, anche ricorrendo ad insegnamenti che sembrano lontani dalla pianificazione, come il concetto della Gestalttheorie: «la psicologia della Gestalt ha come fondamento l’idea che la percezione sia qualcosa di più che la semplice somma delle sensazioni che giungono ad un organo di senso, […] ciò che è fondamentale non sono gli elementi di una configurazione in sé, ma solo le relazioni tra le parti che compongono la struttura» (Saragosa, 2016).
Le impressioni visive dell’osservatore urbano sono influenzate quindi dall’insieme degli elementi della struttura urbana. La strada del pianificatore per dare qualità agli walkscapes sarà dare identità e vitalità all’immobilità della scena urbana attuale, per dirla con le parole di Camillo Sitte «si avverte il bisogno di una conciliazione tra le pratiche soluzioni moderne e l’eterno ideale della poesia», ovvero «le leggi di armonia e bellezza dell’urbanistica storica» (Sitte, 1953). È chiaro che le «pratiche soluzioni moderne» non lasciano spazio ai sedimenti e conseguentemente alla materializzazione dei «percorsi» di Lynch, a meno che non stiamo ad aspettare che questa immobilità della scena urbana non venga sporadicamente interrotta da opere di Bansky o da altri geniali rappresentanti della street art.
Riferimenti Bibliografici
* Francesco Careri (2006), Walkscapes, Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino
* Kevin Lynch (1964), L’immagine della città, Marsilio editori, Venezia
* Camillo Sitte (1953), L’arte di costruire le città, Antonio Vallardi Editore, Milano
* Claudio Saragosa (2016), Il sentiero di biopoli. L’empatia nella generazione della città, Donzelli, Roma